Segnali di Vita
romanzo
Polymetis Edizioni
160 pagine
euro 12,00
2021
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Trama
Un romanzo occidentale con sguardi ad Oriente dal genere filosofico/esistenziale. Un lavoro importante che mette in luce i
rapporti umani come frammenti dell'esistenza.
Il mio mentore Franco Battiato diceva a proposito
della morte: “Noi pensiamo di essere eterni, questa è la nostra disgrazia.
A scuola non c’insegnano a morire; sulla morte invece gli antichi egizi hanno costruito una civiltà.”
Ecco dunque che in questo libro la vita e la morte sono concepite come passaggi.
La morte però non vuole avere significati prettamente ultraterreni, ma meramente legati
alla vita trascorsa su questa terra, alla sua mutazione, al suo cambiamento, al suo ricordo.
Senza dare impronte spirituali o esistenziali, ma semplicemente esperienziali. Come quello dei ricordi di chi resta.
L’idea del titolo richiama alla canzone del cantautore siciliano
presente nell'album “La Voce del Padrone” uscito nel 1981, come omaggio e ringraziamento a
un autore da me amato, e che ho scoperto proprio attraverso quel disco.
Entrando nello specifico, e analizzando il testo di “Segnali di Vita” si intuisce fin da subito
il tema gurdjiefiano del binomio tra Essenza, bene proprio e fonte vitale dell’uomo, e
Personalità, capace invece di produrre drammi, spesso legati a quei pensieri convenzionali
e automatici che negano l’evoluzione e la voglia di cambiamento.
Certi pensieri, dunque, ci fanno vivere nel sonno, ci uccidono ancora prima di morire.
Un libro che pone molteplici riflessioni sulle modalità interiori della vita.
Recensione
a cura di Larissa Gaudi di Polymetis Edizioni
Il romanzo Segnali di vita di Luca Barcaccia apre la propria narrazione con una telefonata
alquanto bizzarra: Francis chiama a casa del suo amico Rolan per parlargli di affari molto intimi,
ma apprende dalla madre dell’amico che Rolan è morto in un incidente stradale appena un anno prima;
nonostante ciò, Francis è convinto che l’amico sia vivo e che si possa dialogare con lui.
Questo è l’inizio di Segnali di vita, un romanzo che ha come tema principale la morte, perché,
in fondo, come diceva il compianto cantautore Franco Battiato, mentore dell’autore e a cui il romanzo
è dedicato, non ci insegnano a morire: dalla censura della morte operata da Platone
(si veda il III Libro del dialogo La Repubblica) in poi, è come se avessimo “disimparato” che, forse,
il nostro fine ultimo è la morte stessa, censurandola in tutti i modi.
Tuttavia, il paragone operato dall’autore sui pesci come i delfini e le balene, che emergono dal mare,
ma ben poco sanno del mondo fuori dalle acque, ci dovrebbe spingere a una domanda più profonda: quanto
effettivamente conosciamo della morte? Si può credere che esista una forma di Paradiso o di Inferno,
tipica delle religioni abramitiche, oppure, passando al versante orientale, una reincarnazione in
qualche essere vivente, ma in fondo noi non sappiamo nulla della morte. Eppure, nel lungo dialogo
con la madre di Rolan, Francis sostiene che l’amico sia ancora vivo e che sia necessario trattarlo
come se fosse nella stanza accanto. Ciò introduce un interrogativo: la morte è in realtà un passaggio
di stato dinamico, oppure, foscolianamente parlando, si serba il ricordo del defunto per farlo
rivivere attraverso chi non è ancora morto? In realtà, l’autore propende per la prima ipotesi:
la morte come dynamis, come passaggio di stato. Allora, in questo caso bisogna ammettere per forza che Rolan è ancora vivo.
Infine, l’autore a inizio romanzo scrive una toccante prefazione, in cui è presente una poesia
dedicata al defunto amico Enrico: in fondo, le persone con cui Luca Barcaccia ha condiviso i
suoi “segnali di vita” non sono morte, sono solo mutate.
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