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«Questa vita è una merda, non si può andare avanti così».
«Non ti lamentare Ester, c'è di peggio» disse Rudolph, il capufficio che non faceva altro che riprenderla ogni qualvolta il tempo non passava mai.
Era però brava e Rudolph accettava di buon grado queste sue esternazioni sfavorevoli che turbavano a volte anche l'ambiente lavorativo con continue frasi di commiato, lugubri a tratti disfattiste nei confronti del ruolo che ricopriva e dei suoi colleghi tutti.
«Questa vita è una merda e continuerò a ripeterlo finché avrò fiato per farlo. Tu sei fortunato, Anche voi lo siete. Siete perlopiù meritevoli di questa vostra esistenza. Avete un marito, tu hai una moglie anche troppo buona» disse rivolgendosi a Rudolph e continuò: «Una Santa Donna quella là. Non ti dice mai nulla, ti fa trovare tutto pronto, tutto stirato, sei servito e riverito. Beato te. Fossi stata io ti avrei lasciato a pane ed acqua tutto il tempo».
Nell'ufficio scoppiò una gran risata da parte dei più simpaticoni per smorzare il temperamento assai crudele di Ester. I buontemponi, alcuni di essi risposero a tono e presero a sbeffeggiare Ester riportandola al dovere con il sorriso di chi sa che tanto non potrà mai farci niente contro quella quotidianità di otto ore più una di pausa pranzo. Nove ore passate fuori casa a guadagnare la pagnotta, a riportare ogni mese la sua mensilità per le bollette, le spese di casa, l'auto e qualche sfizio, pochi.
Ester fece delle palline di carta che lanciò via via ad ognuno dei suoi colleghi: «Avete sentito di quelli la che vengono nel nostro paese a non fare nulla? Altro che Primo Levi e compagnia bella. Questi se ne approfittano ve lo dico io».
«Eccallà. Inizia il sermone della Signora Ester» rispose Rudolph che prontamente raccolse la pallina di carta lanciatagli per buttarla nel cestino.
«Eh si, dici bene te. Quanto è il tuo stipendio? Vogliamo parlare poi di tutti i benefici di cui usufruiscono? Asili per i figli, case popolari. Mia cugina che vive in affitto sta aspettando da anni che gliene assegnino una. Suo marito ha fatto domanda circa dieci anni fa ma dicono che non sia in graduatoria.».
«Appunto, non è in graduatoria. Ci saranno dei parametri entro i quali tua cugina non rientra, che dici?».
«Te li do io i parametri Rudolph. La verità è che li aiutano fin troppo. Altro che guerra. Devono tornare nel loro paese».
«Eh no, ora basta» urlò Fouad. «Ancora con questi luoghi comuni Ester? Di dove sono io? Te lo ricordi?».
Fouad si avvicinò alla donna con la penna in una mano ed un foglio nell'altra «Ti devo fare il solito disegnino? Te lo devo scrivere così te lo attacchi sul computer, sulla tua scrivania, dove ti pare...».
«Calma, basta torna al tuo posto» gli rispose il capufficio con un tono determinato. «Sai com'è fatta...»
«Torno al mio posto se lei chiede scusa Rudolph. Sempre la solita storia. Lei provoca, si lamenta. Ma cosa ti manca? Ce l'hai sempre con tutti e poi finisci sempre con l'avercela con me e con quelli come me, neri, puzzolenti, diversi. In cosa siamo diversi? Io in Tunisia non avevo niente, sono venuto qua quindici anni fa ed ora ho la regolarità. Mi sono fatto il culo per rimanere in mezzo a voi. Mi guardavano sempre con disprezzo. Io dovrei dire che la vita è una merda ma non lo dico, non l'ho mai detto cara la mia collega».
«Su, su Fouad non ti incazzare. Sai che io e te la pensiamo in maniera diversa però ti voglio bene, siamo colleghi, lavoriamo insieme da un sacco di anni ormai ma io non la penso come te».
«Per colpa di quello là. Non la pensi come me da un po' di tempo a questa parte per colpa di uno che vi ha messo in testa che...lasciamo perdere, non ho voglia di fare l'elenco di ciò che si dice sui migranti. Sono cose sbagliate, contro ogni umanità, contro ogni realtà. Sono falsità. Prima non eri così. Io e te eravamo amici. Quante volte sei venuta a casa mia. E voi?». Fouad si rivolse a tutti sventolando il foglio «E voi quante volte?».
Vi fu uno sguardo accondiscendente verso il quarantenne tunisino addetto alla contabilità dell'azienda di tessuti. Uno degli addetti all'amministrazione di quella esse erre elle di Trendtown City. Ester fece un ghigno e continuò: «Non te la cavi così Fouad, tu sei integrato, puoi permetterti di rispondere, di parlare a noi con questo tono. Se però stavi in strada e non parlavi la nostra lingua dovevi tacere. Si viene qui rispettando le regole. Tu le stai rispettando, questo dico. Tutto qui. Cosa credi? Ancora con la favoletta del razzismo? Non è razzismo questo qua. E' rispetto per le regole».
«Ancora con questa storiella del rispetto per le regole.
Nessuno è mai venuto con l'intento di non rispettare il vostro paese, ricordatelo. Nessuno. Chi poi delinque è un'altra cosa. Allora i vostri connazionali che delinquono? Perché non hanno tutta questa attenzione? Se qui dentro cari signori uno di voi mi facesse fuori non sarebbe lo stesso se io facessi fuori uno di voi. Questo non è giusto!!! Voi ve ne approfittate. Sapete benissimo la condizione dei nostri paesi, c'è miseria, in alcuni c'è pure la guerra. Sapete benissimo che noi non vorremmo mai tornare per i motivi che vi ho detto ma che alcuni dei miei amici hanno ancora la famiglia e su questo c'è una speculazione miserevole. Prima non eravate così».
Rudolph guardò il giovane con un'aria indagatrice. Aveva gli occhi lucidi dall'emozione? Sta di fatto che Fouad si fermò di colpo e la sua frase destò qualche riflessione. Vi fu un silenzio catastrofico.
Uno dei buontemponi di spalle agli altri si voltò ed esclamò sorridendo: «Ester sei la solita merda fascista. Hai fatto piangere Fouad».
Signori, ma per favore
«Non sto piangendo stronzo. Sto riflettendo sul serio se licenziarmi per tornarmene davvero tra la miseria. Sempre meglio che dover rispondere all'ignoranza di colleghi che pensavo mi volessero bene».
«Noi ti vogliamo bene» rispose la donna.
«Anche noi» si accodò Rudolph.
Fouad li guardò: «Signori, ma per favore».
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