Blog dello Scrittore

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Cosa mai mi ha spinto ad iniziare a scrivere questo calvario di vita? Osservando tutto di tutti ho iniziato quando ero bambino in una bottega. Proprio in una bottega. Nella bottega di mio padre. Quella di un tempo. Ero bambino, questo lo ricordo. Ricordo i vaghi pensieri, gli odori della primavera e dell'estate. L'odore dell'inverno e dei libri. Li odiavo. Quei stramaledetti ammassi di carta che si usavano per la scuola pieni di numeri, problemi, mancate soluzioni. Odiavo tutto quello che un bambino è capace di odiare. Tutto proprio no. Amavo pensare. Amavo chiudermi in me stesso. Quella che oggi viene subito etichettata come depressione allora non ci si faceva caso. E' introverso, si diceva. Ecco, forse ero introverso. Forse. Il beneficio del dubbio ce lo metto sempre.
Di pomeriggio dopo la scuola andavo nella bottega di mio padre ed osservavo lui con i clienti. Saluti di cortesia, clienti esigenti, poco esigenti, pignoli, rapporti amicali, di fiducia e tutto quello che si può pensare ci possa essere tra un negoziante con la sua clientela abitudinaria, di quartiere come si suol dire. Gli adulti. Il negozio era situato nel centro storico di Perugia in un borgo caratteristico, quello che oggi viene chiamato "Borgobello" a pochi passi dalle mastodontiche San Domenico e San Pietro. Era fantastico.
Mi sedevo dietro al bancone e spesso mi nascondevo dietro la bilancia posta sul grande tavolo. Non facevo nulla di che. Nascondermi significava appartarmi, o forse difendermi da chissà cosa e da chissà chi. Mi sentivo vulnerabile. Ero piccolo. Ero quindi indifeso. Ricordo che prendevo un taccuino rimediato con dei rimasugli di carta che mio padre si teneva raccolti con una molletta per fare i conti e scrivevo o disegnavo quello che mi capitava. L'immaginazione. Scrivevo e disegnavo la pura immaginazione. Niente di definito. La pura immaginazione svaniva però all'imbrunire. La sera non mi piaceva. Il mattino successivo avrei dovuto svegliarmi presto, andare a scuola. No. Avrei preferito rimanere li con quel foglio di carta e fermare il tempo.
Fantasticare
La finzione, la fantasia, il castello in aria, l'inventiva, l'idea. Oh, l'idea del bambino che viene preceduta dal nulla e si sussegue al nulla. Ora ricordo. Il nulla. Il nulla dell'eterno. Il tempo svaniva e tornava come fosse sonno e veglia. In sottofondo le rondini, le macchine, le voci, il vento. Niente. Non tornava mai niente. Tutto si dileguava. Ricordo alcuni nomi; Mirella, Iolanda, Elvira, Giancarlo, Virgilio. Questi nomi venivano pronunciati in maniera netta, scandita. Seguiva poi un'offerta, uno sconto, un conto, un piccolo omaggio, il saluto. Il saluto era sempre preceduto da un sorriso. Quello di mio padre era cortese, bello, ridondante. Io e il mio foglio. Quel foglio scarabocchiato o scritto. In una linea c'era un significato molto più ampio. In una parola c'era una concezione, un'alone di mistero. A proposito di fantasticare ricordo che mi allenavo a scrivere il mio nome e cognome. Forse non ero triste. Ricordo con allegria il mio nome e cognome su quel foglio.
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